Essere donna e atleta professionista

La mia vita di atleta professionista inizia del 2000, quando ho cominciato a correre, ero l’unica ragazzina al campo attorniata da ragazzi di qualsiasi età.

Mi ricordo ancora adesso che alle scuole medie molti miei coetanei mi dicevano che il mio era uno sport “da maschi”. Ma i tempi sono cambiati…per fortuna!

Attualmente a livello di arruolamento nei gruppi sportivi militari ad oggi c’è ben poca differenza rispetto a un collega uomo,  ma fino a una decina di anni fa non era cosi’ semplice l’ingresso in determinati gruppi sportivi militari per quanto riguarda il gentil sesso.

In senso più generale, per quanto riguarda la corsa, possiamo dire che il movimento femminile sta sempre più prendendo piede

Molte volte sottolineo il fatto che prima di tutto sono una donna e poi sono un’atleta.

Per me questa distinzione è fondamentale perché secondo me la donna deve trovare lo spazio per dedicare del tempo a sé stessa.

Ovviamente noi donne abbiamo tutte esigenze diverse, c’è chi ha bisogno di andare a farsi la manicure ogni mese, chi a fare shopping, chi a passeggiare e dare libero spazio alla mente.

Tutto questo indipendentemente dal lavoro che una donna svolge. Per un’atleta questo ruolo di donna è ancora più importante per “evadere” dalla routine segnata dal cosiddetto “run – eat- sleep and repeat”.

La donna è donna qualsiasi lavoro faccia, quindi ammettiamolo abbiamo una marcia in più rispetto a voi cari maschietti!

Scherzi a parte, la mia quotidianità casalinga è la stessa di mille altre donne; si cucina, si lava, si va a fare la spesa.

Molte volte si pensa che noi atleti professionisti siamo come degli alieni venuti da Marte. Ma siamo semplicemente dei comuni mortali come tanti.

E noi donne atlete siamo delle comuni donne con le insicurezze, le ansie, le crisi pre e post mestruali di tutto l’universo femminile.

Quello che ho sempre fatto da quasi 20 anni, da quando ho indossato per la prima volta le scarpette da ginnastica per andare ad allenarmi.

Certo, in due decenni tante cose sono cambiate, da una bambina impaurita di 11 anni che frequentava le scuole medie sono diventata una donna con un compagno e un mutuo da pagare. Le gare sono diventate sempre più importanti e non più delle semplici competizioni da incastrare tra un compito in classe o un esame universitario.

Di esperienze diverse ne ho vissute tante, ma una cosa è rimasta la stessa: la felicità che mi dà la corsa.

La fatica, la stanchezza degli allenamenti, il mal di gambe, l’adrenalina e le mille sensazioni negative del pre-gara, le lacrime di gioia e di delusione, l’amarezza per un risultato non arrivato, il senso di potenza che ti dà un primato personale o una vittoria.  Ecco, senza tutto questo io non saprei vivere. E’una grande passione ma forse è qualcosa di più.

È quasi una droga di cui non si può fare a meno.

Provare per credere.

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